venerdì 2 aprile 2010

Empirismo mediatico

David Hume diede il colpo di grazia alla sostanza aristotelica, già traviata, prima dall'idealismo tedesco, poi dai colpi graffianti dell'empirismo fragile di John Locke prima (che ritornò successivamente sui propri passi) e Berkeley poi. Con lui la percezione diventa il meccanismo fondante della vita, la chiave di volta dell'esistenza. Tanto per capirci: lo schermo che avete davanti esiste soltanto in quanto voi siete lì ad osservarlo; qualora vi giraste e nessun'altro avesse l'accortezza di guardarlo, allora esso scomparirebbe, non avrebbe ragion d'essere.

Ebbene l'empirismo che viviamo di questi tempi è, se volete, ancor più sottile e aggiornato al periodo in cui ci troviamo: si chiama empirismo mediatico.

L'empirismo mediatico ha radici lontane ma il consolidamento vero è avvenuto negli ultimi anni. Esso deriva, in prima istanza, dalle possibilità, pressochè infinite, di trasmissione e di interazione che possono avere i media del ventunesimo secolo. I media ricoprono come un etere invisibile l'intero pianeta con una facilità disarmante e alla velocità massima raggiungibile in natura, quella della luce. In seconda istanza esso deriva dalla strategia più ambigua e raffinata mai prodotta nel corso dei secoli: il marketing. L'elemento chiave del marketing è la vastità del consenso. Più è grande il consenso raggiunto, più si dice una verità. Quindi la verità non è ciò che è vero, ma ciò che è di più largo consenso. Questo significa che per dire una verità è necessario convincere più persone possibili. Questo è lo scopo del marketing. Questa disambiguità della parola "vero" porta non pochi problemi ovviamente. La verità non è più saggezza ma è furbizia, astuzia. Dice il vero, chi ha saputo interpretare meglio le coscienze, chi arriva più velocemente al pensiero della comunità. Non è ora molto difficile riuscire ad intendere che, la strategia di marketing, è stata in passato l'arma fondamentale dei fascismi e delle dittature. Ma vi dirò di più: il marketing è anche la strategia fondamentale per le democrazie di oggi. Sia Berlusconi che Obama, con metodi e opinioni completamente diverse, sono due personificazioni del marketing. Ed è facile capire perchè: entrambi, all'inizio delle loro carriere politiche ad alto livello, pur non avendo assolutamente fatto nulla, erano già osannati come dei messia. Berlusconi nel '94 stravinse le elezioni, plaudito come la faccia nuova e liberale, di una repubblica al collasso, Obama, già mesi prima della sua ascesa alla casa bianca, era visto come il paladino che avrebbe salvato gli USA da una delle crisi più profonde degli ultimi anni. Messi da parte i miei giudizi su Obama, quello che mi sconvolge è che egli è stato visto come un eroe, ben prima che potesse realmente testimoniarlo con dei fatti, questo perchè il marketing conta enormemente più dei fatti.

Eppure è necessario non perdere il filo e tornare al punto di partenza. L'empirismo mediatico si basa quindi sul potere naturale dei media e sul marketing. Ma come agiscono i media sul marketing? Ecco quindi che si snoda il passo successivo sconvolgente che rende ancor più difficile riuscire a discernere il falso dal vero. Se, seguendo ciò che ho detto prima, il MARKETING stabiliva che è vero ciò che è di largo consenso, il MARKETING MEDIATICO stabilisce che E' VERO ciò che è di largo consenso ed è di largo consenso ciò che è MEDIATICO. Quindi il marketing mediatico non fa altro che assegnare lo scettro della verità a tutto ciò che è contenuto nei media. L'EMPIRISMO MEDIATICO effettua quindi un ulteriore passo in avanti, decisivo: non solo è vero ciò che è contenuto nei media, ma addirittura ESISTE ciò che è MEDIATICO. La percezione diventa un elemento prettamente mediatico. Esiste ciò che è nei media. Vi ricordate l'esempio su Hume che ho descritto prima? bene. Similmente ora quello schermo esisterà solamente perchè è in televisione. Qualora spegnereste la televisione quello stesso schermo sparirà, non avrà ragion d'essere. Sembra un esempio molto stupido e vi dò pienamente ragione. Ora farò un esempio molto più calzante: guerre, terremoti, disastri esistono solo se sono in televisione, qualora spegnereste, come per magia, essi spariranno.
Questo è ciò che accade tutti i giorni: le guerre in ruanda, le lotte intestine nei paesi del sudamerica, i conflitti sul confine USA-messico non esistono. Esistono la guerra in Iraq e il conflitto israelo-palestinese ma non è difficile capirne il motivo, vero? La televisione detta la nostra percezione ed esiste solamente quello che lei ci ordina. Il terremoto ad Haiti dove è scomparso? Dov'era Haiti prima e dopo il terremoto? Nell'iperuranio forse, non so. Il paradosso è che la televisione detta i ritmi anche di paesi e continenti. L'Haiti invasa dalle telecamere, ha richiamato aiuti su ogni fronte, la ripartenza delle telecamere è stata seguita come, in un corteo funebre, dai soccorsi, che sono fuggiti alla chetichella, per seguire il cammino imperioso dei riflettori che magari si spostava in un altro cantone del mondo a cui spettavano i propri 5 minuti di celebrità.

Ecco, questo è diventato il mondo, oggi: una serie di luci intermittenti che illuminano il mondo a proprio piacimento, decidendo le sorti di popoli, costumi, razze e religioni. Luci che, magari, sono piazzate da multinazionali o poteri forti. La verità diventa ciò che è sotto a quelle stesse luci, ed è ininfluente se il suo contenuto è giusto o sbagliato. L'importante è che se ne parli, che sia discussa e soprattutto che sia ripresa dall'occhio di una telecamera.

Se Platone puntava il dito verso l'alto, Aristotele verso il basso, Hume verso di sè, l'uomo contemporaneo punterà il suo dito verso una telecamera.

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